Il movimento del Cielo e le Danze Sacre

Il movimento del Cielo e le Danze Sacre

paul-reynard-movimenti-danze-sacre-mente-risveglio-presenza“Le Danze sono per la mente. Non danno nulla all’anima: l’anima non ha bisogno di nulla. Una danza ha un certo significato; ogni movimento ha un certo contenuto” G.I. Gurdjieff

“Si muove il movimento e si dimentica il movimento, questo non è il movimento in se stesso. Se, quando stimolati da cose esterne, ci si muove, è l’impulso dell’essere. Se, quando non stimolati da cose esterne, ci si muove, è il movimento del Cielo”

Questo antico detto taoista potrebbe benissimo essere un’introduzione alla comprensione dei “Movimenti”, che detengono una posizione molto speciale nell’insegnamento di G.I. Gurdjieff. La formale esecuzione dei movimenti, la loro azione esteriore, è l’eco di una corrente di energia interiore e più potente. Attraverso la ripetizione ciclica di una serie di atteggiamenti (come la reiterazione di una preghiera), l’attenzione si acuisce, liberando energie di differenti qualità e densità (ciò che la tradizione indù chiama prana) e consentendo loro di porsi in relazione l’una all’altra in modo nuovo. Il movimento esteriore si inizia attraverso l’impulso emesso dall’interno, non più da un’attenzione unilaterale, ma da una vigilanza onnicomprensiva sostenuta dal corpo, in accordo con il sentimento, e sotto l’occhio della mente: un’attenzione a tre volti.

I Movimenti sono esercizi spirituali, né ginnastica né fisioterapia, e non sono intesi a creare stati alterati di coscienza (sebbene ciò possa avvenire quale risultato automatico di un lavoro di attenzione). La loro ragione d’essere deve essere trovata nel corpus di idee che struttura l’insegnamento. I Movimenti sono stati creati per la sperimentazione e la pratica di dati che, per la maggior parte, sono trasmessi oralmente. Quando sono privati di questo collegamento con le idee, ne susseguono la contraffazione e la distorsione, ed i Movimenti perdono molto del loro significato.

“Quando il movimento è giusto”, diceva Madame de Salzmann, “esso produce un suono… un’influenza speciale che può essere percepita da coloro che ascoltano”. E’ come il riverbero di vibrazioni che provengono da un livello più elevato di coscienza, che può essere percepito non solo fra le persone che eseguono un dato movimento, ma anche da coloro che li osservano. A questo proposito, si può dire che i movimenti sono un’illustrazione della pratica delle tre linee di lavoro caratteristiche dell’insegnamento: lavoro su di sé, lavoro con gli altri, e lavoro per la comunità.

Quando si incominciano a studiare i Movimenti, ciò che diviene evidente molto presto è la debolezza dell’attenzione: non ha resistenza, non ha difesa contro il moto senza fine delle associazioni, ed è spesso portata via inconsciamente proprio quando sarebbe necessaria la sua piena concentrazione. La mente ordinaria, di per se stessa, è instabile, essendo orientata verso il futuro o guardandosi indietro al passato, ed essendo identificata per la maggior parte del tempo ad un qualche oggetto immaginario, non ha centro di gravità. L’attenzione della mente può iniziare un movimento o indicare una direzione, non è in grado però di impegnarsi e di partecipare nella continuità di questo movimento: “Si muove il movimento e si dimentica il movimento, questo non è il movimento in se stesso.”

Per quanto attiene il corpo, sebbene esso possa talvolta dar segno di un’intelligenza reale quando si trova a confronto con il modo esterno, è quasi sempre sotto il dominio dei suoi desideri, appetiti e reazioni. Tuttavia, sul sentiero della ricerca interiore, il riconoscimento del corpo quale fondamento basilare per il Lavoro è essenziale. All’inizio della pratica degli esercizi preliminari, lo sforzo dell’attenzione a memorizzare posture differenti sembra essere unicamente formale e dipendere soprattutto dall’atteggiamento fisico. Però, quando gli esercizi divengono progressivamente più complessi, la difficoltà a fare fronte alla crescente richiesta di coordinamento di differenti velocità, differenti tempi e differenti ritmi associati a spostamenti e canoni complicati, richiede una nuova attenzione di cui non si è mai fatto esperienza in precedenza.

In quello stresso momento, della visione del mio lasciarmi cogliere di sorpresa, del mio essere assente, sorge la domanda: “Chi sono io?” Naturalmente, non vi sarà risposta immediata. Vedere ed accettare questa mancanza di relazione all’interno di me stesso evoca però una nostalgia, il ricordo remoto di un’autorità perduta, una rimembranza. In altre parole, sono costretto a cercare di assistere in quanto essere tricerebrale.

Ciò che avviene allora è il risveglio di un’intelligenza più fine, di una nuova mente, un pensiero che viene per così dire dal cuore, la scoperta di ciò che Gurdjieff chiama “La Mentazione dell’Essere” in “I Racconti di Belzebù a Suo Nipote”. La ricerca di questa presenza interiore necessita di sacrificio, di abbandonare tutte le tentazioni soggettive e le fascinazioni dell’ego: per avere successo, per “fare” per avere risultati. L’apertura ad un livello superiore di conoscenza è ciò che siamo invitati a scoprire nella pratica dei Movimenti in quanto “Danze Sacre”.

Paul Reynard fece parte di un piccolo gruppo a Parigi, guidato da Henriette Lannes, nel 1946. Incominciò a praticare i movimenti nel 1947 con Jeanne de Salzmann, e fece parte della classe superiore sotto la direzione di Gurdjieff quello stesso autunno. Incominciò la sua attività di istruttore dei movimenti sotto il controllo di Marthe de Gaigneron, e nel 1969 si trasferì negli Stati Uniti. Da allora, egli ha la responsabilità dei movimenti presso la Fondazione Gurdjieff di New York ed in altre Fondazioni Gurdjieff negli Stati Uniti ed in Canada.

Di Paul Reynard

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